NordKapp d’inverno

NORDKAPP 2022

Un viaggio oltre il circolo polare artico fino al 71° parallelo

23 febbraio 2022

Come si fa a preparare i bagagli in modo logico e ordinato quando la partenza ti sorprende con ancora metà del lavoro da fare? Devo riempire il serbatoio dell'acqua del furgone, poi caricare il generatore di corrente, sistemare il gabinetto chimico, le catene da neve, gli attrezzi per le piccole riparazioni e molte altre cose che non so dove mettere, mentre Rossana appende vestiti, carica la dispensa e il frigorifero, poi porta padelle e stoviglie e prodotti per l’igiene. Le porte e le finestre di casa sono tutte aperte. Correre lungo le scale con i bagagli in mano è una gran fatica e poi, alle undici del mattino, tutto sembra pronto. Nominiamo Francesca e Gianluca custodi della casa con tutto ciò che contiene, compreso il pesce rosso nella boccia di vetro; ora è il momento di partire. Il furgone viaggia tranquillo superando le Alpi con disinvoltura. Andava tutto bene fin quando in Germania, nei pressi di Rosenheim, Rossana mi chiede: “Dove hai messo lo zaino verde con i vestiti pesanti?”, ci penso un po’: “Quale zaino verde, ? Non ne so nulla”. Così abbiamo scoperto di aver lasciato a casa gli indumenti adatti al gelo polare. Il pensiero di dover affrontare i venticinque gradi sotto zero in maglietta e tuta da ginnastica, ci costringe a trovare un’immediata soluzione. Tornare a recuperare lo zaino ripercorrendo i quattrocento chilometri che ci separano da casa è un inutile dispendio di denaro e tempo, quindi non resta che dirigerci al primo centro commerciale di Rosenheim per acquistare gli indumenti adatti. Certo che, la nostra, non è stata una partenza perfetta, è la prima volta che viaggiamo con questo camper Westfalia e non so quali sorprese potrebbe riservarci, inoltre abbiamo ancora qualche strascico del COVID, di cui si dice che sia causa della “Nebbia cerebrale”, sarà per questo che ci siamo dimenticati lo zaino e chissà che altro. Mai avrei immaginato di trovarmi a fare shopping in Germania alle cinque del pomeriggio, ma è accaduto e devo dire che la fortuna ci ha assistito perché abbiamo trovato una svendita di caldissimi maglioni e pantaloni pesanti che ci stanno a pennello. Sono le sei della sera e viaggiamo ancora in modo da avvicinarci più il più possibile a Wurzburg. Alle nove decidiamo di fermarci in un’area di sosta dove pernottano i camionisti. È la nostra prima notte in camper, apriamo il tavolo, accendiamo il riscaldamento e anche il fornello per preparare la cena. Finita la serata, bisogna riordinare e aprire il letto, poi ci infiliamo sotto i piumoni augurandoci la buona notte. Rimango ancora qualche minuto sveglio guardando attraverso le tende le luci dei fari dei camion mentre fanno manovra, poi sogno bagagli dimenticati che rotolano lungo la strada.

24 febbraio 2022

È un’altra giornata di viaggio e in Danimarca incontriamo una fitta nevicata, che in breve trasforma l’autostrada in una pista da sci.

Percorriamo novecento chilometri da Wurzburg a Aarhus in Danimarca, poi, quando non ce la facciamo più, ci fermiamo per la notte in un distributore di benzina, dove in un self service ceniamo con il piatto speciale danese, consistente in un abbondante arrosto di maiale con patate immerse in una gustosa salsa, barbabietole rosse, cetrioli sott’aceto, e birra da litro.

Ancora nevica, ma dopo questa cena danese è necessario stare un po’ all’aperto prima di coricarci sotto le coperte della piccola casa viaggiante.

25 febbraio 2022

Sveglia all’alba, colazione e partenza per raggiungere Irtshals dove ci imbarcheremo per Kristiansand in Norvegia. Dobbiamo percorre solo centonovanta chilometri, ma è meglio arrivare al porto il prima il possibile, perché dobbiamo acquistare il biglietto e fare il check in per l’imbarco.

Siamo fortunati, solo due ore d’attesa e la nave abbandona la Danimarca navigando verso la Norvegia. 

NORVEGIA

Il sole è all’orizzonte quando sbarchiamo a Kristiansand e un raggio di luce ancora mi abbaglia mentre viaggiamo lungo una tortuosa strada tra profondi fiordi e gelidi laghi. Poi, a Stravanger, la strada s’interrompe e saliamo su un traghetto senza capire dove arriveremo.

Quando sbarchiamo è buio, ad Ardal c’è l’indicazione per un camping, ormai è tardi e non possiamo trovare altro, per cui ci avviamo sperando di trovare aperto. Ci fermiamo davanti all’entrata, non ci sono sbarre o cancelli, però la reception è chiusa, ma sulla porta c’è un biglietto con un numero di telefono. Prima di chiamare il proprietario m’inoltro a piedi tra i bungalow e le roulotte. Pare deserto, poi una luce s’accende, qualcuno c’è, una donna con due figli che sembrano abitare qui da tempo.

Il camping funziona, c’è la corrente elettrica e anche i bagni e la cucina sono aperti, non resta che telefonare, e per questa notte siamo a posto.

26 febbraio 2022

La notte gela, ma ancora non abbiamo incontrato quel freddo che ci aspettavamo. Siamo impazienti di superare il sessantaseiesimo parallelo, per incontrare il vortice polare e scoprire la forza delle tempeste di neve, questo non solo per il desiderio d’avventura, ma per toccare con mano come l’energia del gelo, capace di trasformare questi luoghi in lande ghiacciate, sia in realtà fragile e destinata a sparire. Ci sarà, forse, un tempo in cui neppure il ricordo resterà di questo mondo in bianco e nero, fatto di neve, ghiaccio e scure figure di pietra.

Il nostro viaggio continua e la neve sulla strada si fa sempre più alta. Seguiamo una tortuosa via che si snoda tra profondi fiordi, poi, a Stavangher s’interrompe e dobbiamo salire su un traghetto. Continuiamo il nostro viaggio tra tornanti e navi fin quando, superato Bergen, raggiungiamo Fjellstova, una piccola località dove si pratica lo sci da fondo e la sera si riposa in un rifugio.   

Decidiamo di pernottare nel parcheggio; prepariamo il furgone per la notte e scopriamo che il nostro impianto di riscaldamento non funziona, fortunatamente il rifugio ha degli attacchi per la corrente elettrica che utilizziamo per riscaldarci con una stufetta.

La temperatura durante la notte scende a meno quindici gradi e l’umidità gela decorando gli alberi con milioni di piccoli aghi di ghiaccio che la mattina brillano al sole. 

27 febbraio 2022

Il nostro viaggio continua e la neve sulla strada si fa sempre più alta. Seguiamo una tortuosa via che si snoda tra profondi fiordi, poi quandos’interrompe saliamo su un traghetto. Continuiamo il nostro viaggio tra tornanti e passaggi in ferry boat quando,  superato Bergen, raggiungiamo Fjellstova, una piccola località dove si pratica lo sci da fondo e la sera si riposa in un rifugio. Decidiamo di pernottare nel parcheggio, così  prepariamo il furgone per la notte scoprendo che il nostro impianto di riscaldamento non funziona, fortunatamente il rifugio ha degli attacchi per la corrente elettrica che utilizziamo per riscaldarci con la stufetta elettrica. La temperatura durante la notte scende a meno quindici gradi, mentre l’umidità gela decorando gli alberi con milioni di piccoli aghi di ghiaccio, che la mattina brillano al sole.

28 febbraio 2023

Mancano un’ottantina di chilometri a Vevang dove inizia l’Atlantic Ocean Road, una strada fatta di ponti che saltano da un’isola all’altra tra straordinari panorami del mare di Norvegia e delle montagne innevate. La nostra guida turistica decanta questa strada come la più affascinate del mondo, ma mette anche in guardia il viaggiatore della sua pericolosità quando il mare è in tempesta e le onde spazzano l’asfalto.

Il furgone s’inerpica lungo il primo ponte, l’impressione è che alla fine di questa ripida salita ci sia il nulla, ma arrivati in cima il panorama è fantastico, poi una ripida discesa atterra su un pietroso isolotto spazzato dalle onde.

Ci fermiamo nel parcheggio del ponte Storseisundet, il più alto degli otto ponti che uniscono questi dieci isolotti abitati dai villaggi dei pescatori.

Camminiamo lungo un sentiero che scende fino a toccare l’Oceano Atlantico e da qui guardiamo l’immenso ponte che s’innalza verso il cielo, mentre le auto che lo percorrono sembrano sparire inghiottite dalla sommità della salita. 

Otto chilometri tra la città di Vevang e Karvag sono troppo pochi. Per quanto procediamo lentamente e con molte soste, il tempo passa tropo veloce ed invece noi vorremo continuare a viaggiare tra ponti sospesi e isole bagnate dalle onde oceaniche.   

Il viaggio continua verso Trondheim, di chilometro in chilometro la strada si fa più gelata e una fitta nevicata ci coglie dopo duecento e venti chilometri. A Heggstadmoen, decidiamo di fermarci in un parcheggio. Sono le diciotto e ormai da due ore è notte, la prima cosa da fare è mettere in funzione il generatore di corrente, ma commetto l’errore di appoggiarlo sulla neve e in meno di cinque minuti lo vedo affondare in una pozza d’acqua prodotta dal calore del motore, così mi precipito a spostarlo su un grande vaso in cemento, sperando, che in quella posizione non infastidisca qualcuno a causa del rumore.

Mentre fuori ogni traccia sparisce sotto la neve, noi ceniamo al caldo e poi la cucina, con pochi e abili movimenti, si trasforma in una confortevole camera da letto. Alle nove della sera stiamo accucciati sotto la calda coperta di lana merinos, mentre la stufetta scalda la nostra piccola casa viaggiante. Alle due di notte sento un freddo pungente, ho le orecchie gelate, caparbiamente mi rannicchio sotto la coperta, ma poi m’accorgo che il generatore di corrente è silenzioso, allora con la torcia elettrica lo illumino, è ancora lì, ma la benzina è finita. Con gli occhi semi chiusi apro il portellone, afferro la tanica con il carburante e in ciabatte affondo nella neve, mentre un vento gelido mi sferza il viso.

Nel silenzio della notte la neve scricchiola sotto i miei passi, non nevica più e il cielo nero sembra trapuntato da milioni di piccole luci provenienti dall’infinito, poi il ronzio del motore riporta il calore.

Con i piedi gelidi m’infilo sotto la coperta e con un sorriso mi riaddormento.    

1 marzo 2022

Oggi supereremo il circolo polare artico, per raggiungere Bodo da dove ci imbarcheremo per approdare alle Lofoten.

Ale prime luci dell’alba facciamo colazione e una sottile neve scende insistentemente.

È tutto pronto, si può partire, le gomme da neve fanno buona presa, viaggiamo tranquilli su una strada deserta, costeggiata da cascate ghiacciate di un intenso colore azzurro.  Chilometro dopo chilometro il gelo diventa padrone di ogni cosa, i colori spariscono nel bianco della neve e solo rari alberi mostrano la loro scura e spoglia figura, il mondo ora è in bianco e nero come in un vecchio film.

La nevicata si fa più intensa e un violento vento proveniente da nord spazza la strada lucida di ghiaccio.

Pochi chilometri e ci accodiamo a una fila d’auto, con in testa uno spazzaneve che ci guiderà attraverso quella che ora è diventata una vera tempesta. 

Nel turbinio di neve riesco a stento a vedere le luci dell’auto che mi precede, poi tutti accendono i lampeggianti e la coda d’auto lentamente si muove. Il navigatore satellitare segnala che abbiamo appena superato il parallelo sessantasei. È così che ci ha accolti il circolo polare artico.       

Viaggiando lentamente non riusciamo a raggiungere Bodo, così ci accampiamo per la notte nel piazzale di un centro commerciale.           

2 marzo 2022     

La mattina non nevica più, esco dal furgone per spazzare la neve dai finestrini e scopro, che vicino al nostro furgone sono parcheggiate le auto di chi di buon’ora va a fare la spesa, c’è anche una farmacia già aperta e un discreto via vai di gente, ma nessuno si meraviglia nel vedere un vecchio Westfalia, coperto di neve, che costudisce i suoi passeggeri al caldo mentre consumano la colazione con caffè, latte, burro e marmellata.

Prima di riprendere il viaggio facciamo il pieno della costosissima benzina, ma quando schiaccio l’acceleratore per ripartire il motore non prende giri, s’ingolfa e sbuffa, non m’arrendo, accelero a fondo e dallo scarico esce un fumo denso seguito da una serie di scoppi, poi all’improvviso il motore riprende ad andare e le ruote slittano sulla neve ghiacciata uscendo dal distributore come stessimo partendo per il gran premio; è una prima avvisaglia che qualcosa non va. Il riscaldamento da parcheggio ci ha abbandonato, speriamo che non sia la volta del motore, ma per fortuna tutto fila liscio, così viaggiamo tranquilli su questa strada bianca di neve.

Raggiungiamo Bodo nelle prime ore del pomeriggio e alle quindici e trenta ci imbarchiamo.

 

Å - i Lofoten

È ormai notte alle diciassette quando il traghetto approda nel piccolo paese dal breve nome: “Å”.

È fantastico vedere il contrasto tra il chiarore della neve, le scure montagne e la luce delle lampare mentre illuminano un piccolo paese fatto di case di legno verniciate di rosso, che, come palafitte, sprofondano le loro fondamenta nel mare.

Un’ impalpabile neve scende lenta senza vento e il riflesso delle luci sul mare rende tutto più magico.

Raggiungiamo l’ultima casa a picco sul mare, che porta la scritta: “Leie hytte” che significa: “affittasi cabina” e noi ne prendiamo possesso.

Il silenzio della notte è dolcemente rotto dall’infrangersi delle onde e l’odore del legno rende ancora più confortevole il tepore della nostra stanza, mentre fuori nevica.   

3 marzo 2022

In questa mattina limpida con poche nuvole all’orizzonte, sarà bello fermare i ricordi con fotografie e riprese.

La bassa marea ha scoperto la scogliera dove sopra sta saldamente infisso un groviglio di pali che sostiene, come palafitte, le casette rosse, dai tetti neri e le finestre bianche, mentre la montagna incombe sul villaggio e un mare profondo si muove lentamente.

Tutto è imbiancato da una fredda e polverosa neve, che ad ogni soffio di vento disegna vortici nell’aria.  

Seguiamo una strada fatta di neve, che da un lato costeggia spiagge di pietre e licheni e dall’altro montagne gelate da dove precipitano cascate di ghiaccio e scure nubi, che poi s’infrangono tra il vento e il mare.

Alle Lofoten c’è un luogo dove i più abili e coraggiosi praticano il surfing sulle onde del mare d’inverno.

Una ripida strada ci conduce alla spiaggia di Ervikstranda, ci fermiamo su una piccola altura ad osservare le evoluzioni dei surfisti mentre, come foche tra i ghiacci, attendono il momento migliore per scomparire tra i flutti e subito riapparire in piedi sulla tavola cavalcando come equilibristi l’onda più grande.  

Proseguiamo verso Svolvaer, lentamente e con molte tappe.

Il tramonto è sul finire quando arriviamo nel piazzale di un piccolo porto, dove i viaggiatori possono affittare delle stanze simili a container, ben comode e riscaldate.

La sera, dopo cena, passeggiamo per le strade di un paese gelato, deserto e silenzioso, l’unica presenza umana è quella di una statua di bronzo dedicata a Jack Brentsen, un cantante folk, nato qui, e famoso in Norvegia.   

4 marzo 2022

La luce dell’alba illumina il piccolo porto di Svolvaer mentre noi riprendiamo il viaggio verso nord.

Lungo la strada coperta di neve incontriamo rari automezzi, che filano via sicuri delle loro ruote chiodate. Costeggiamo i fiordi dove il mare è ancora gelato e i pescatori attendono con pazienza, seduti davanti a un buco nel ghiaccio, che un pesce abbocchi.

Saliamo il lungo pianoro di Kvænangsfjelle, ora abbiamo superato il parallelo sessantanove e bastano quattrocento metri d’altitudine per abbassare la temperatura a meno venti gradi. Il cielo si copre di nuvole grigie, il nostro Westfalia, come una piccola macchia, tinge questo mondo severo e senza colore, ma che all’alba e al tramonto si colora di tutte le sfumature del rosso e, la notte, dell’aurora boreale.

5 marzo 2022

Dopo la sosta per la notte, riprendiamo il nostro viaggio e alle quattro del pomeriggio arriviamo ad Alta quando è già buio, mancano ancora duecento quaranta chilometri a Capo Nord e fa molto freddo, così decidiamo di fermarci qui.

Le strade della città sono deserte e la neve scricchia sotto i piedi; è venerdì e i ristoranti sono affollati, solo il raffinato ristorante italiano: “Alattio Pizza e Pasta” ha un tavolo libero e ci serve una fantastica tagliata di renna con salsa e patate, una vera specialità norvegese.

6 marzo 2022

NordKap

Viaggiare su questa strada bianca di neve e ghiaccio è ormai un’abitudine, ho dimenticato i nastri d’asfalto scuro, dove le ruote hanno una presa sicura, qui ogni curva, in frenata o accelerazione va valutata per tempo senza esitazioni.

Capo Nord è un’isola posta oltre il parallelo 71, con un dislivello di trecento metri sul mare. Qui ci siamo già stati, ma d’estate con il sole di mezzanotte, allora c’era un traghetto, che attraversava il breve tratto del Mar Glaciale Artico, oggi, con il nostro furgone, percorriamo il tunnel lungo sette chilometri e profondo oltre duecento metri sotto il livello del mare.

Dieci minuti, sottoterra, nel buio, e sopra di noi il mare, poi, all’improvviso, l’accecante bagliore della neve illuminata dal sole.

Alla nostra destra le scure onde s’ infrangono sugli scogli frantumando le lastre di ghiaccio formatesi nel mare, mentre alla sinistra imponenti pareti di roccia nera nascondono il cielo.

 Ora la strada sale, viaggiamo in un deserto bianco, mentre le nuvole mosse dal vento assorbono i raggi rossi del sole fermo all’orizzonte del tramonto e la strada di ghiaccio riflette le intense luci del nord.

“Non è normale, non può essere vero”, penso tra me e me: “Qualcuno la deve aver preparata questa scenografia per noi”, i colori di questo lungo tramonto, cambiano dal rosa, al rosso, fino al viola e la neve li riflette verso il cielo e il mare, neppure i migliori effetti cinematografici riuscirebbero a creare questa magia.

Mentre mi godo estasiato questo infinito spettacolo di luci, il cicalino del convertitore benzina – gas emette due bip-bip e, tragedia, il furgone si ferma. Provo a rimettere in moto, ma niente, non va, allora i miei occhi abbandonano il panorama fermandosi sul cruscotto, poi, sui fusibili ed anche sui relè; è tutto in ordine, non mi resta che aprire il cofano motore, ma anche qui, cavi, candele e filtri è tutto a posto, ma il furgone resta immobile in questo luogo che ora m’appare deserto e inospitale, neppure il cellulare riesce a prendere il segnale per chiamare i soccorsi. Tra meno di due ore arriverà la notte così il buio e il vento faranno scendere la temperatura a oltre i meno venti gradi. Non passa nessuno, siamo soli, in balia degli eventi.

Mi avvio a piedi verso un punto più alto alla ricerca del segnale telefonico, passo dopo passo il furgone s’allontana, ora è l’unico minuscolo segno della presenza dell’uomo in questa landa gelata mentre il sole è sempre lì, fermo all’orizzonte. Finalmente ricevo un segno dal telefono e subito chiamo il numero del soccorso, ma risponde una segreteria automatica e non riesco a capire una parola.

“Mi arrendo, resteremo qui questa notte, abbiamo il generatore di corrente per scaldarci, abbiamo da mangiare per giorni e domani vedremo”, così penso, poi mi guardo intorno e mi rendo conto di essere su un rilievo da dove si vede il mare e le grigie nuvole che salgono veloci illuminandosi dei colori del tramonto, il silenzio è come un suono che mi avvolge,  ho una strana sensazione d’impotenza, ma allo stesso tempo mi sento libero, vuoto, vorrei scendere da questo cocuzzolo a capriole come una valanga di neve, invece, con passo spedito, ritorno al furgone dove m’aspetta Rossana.

Ci rintaniamo nel furgone, per farci un caffè ed organizzarci per la notte, quando sentiamo un motore in lontananza, è un’automobile che proviene da Capo Nord e al primo nostro cenno si ferma per aiutarci. Sono due fotografi olandesi arrivati qui perché per questa notte è prevista l’aurora boreale e adesso stanno scendendo in paese per organizzarsi, così ci promettono di inviarci un carroattrezzi che ci trasporti fino a Skarsvåg, un piccolo paese di pescatori a meno di dieci chilometri da qui.

Non abbiamo raggiunto Capo Nord e il mancare la meta mi rende triste e arrabbiato: “Che diavolo hai, perché non vai in moto” e giro la chiave dell’accensione; miracolo! Il motore riprende a girare come se niente fosse accaduto, forse aveva voglia di riposare, oppure gli piaceva il posto. Anche se è tardi non è il caso di abbandonare la nostra meta, così, senza dire nulla riprendiamo il nostro viaggio verso Capo Nord.

Ci siamo, qui finisce la strada del nord, scendiamo dal furgone che è quasi buio e affondando i passi nella neve  camminiamo verso la scultura rappresentante il mondo, simbolo di Capo Nord; davanti a noi c’è il Mar Glaciale Artico e più lontano il Polo Nord.

S’alza un impetuoso vento glaciale, che distrugge i cumoli di neve scagliandoci in faccia il gelo della notte, mentre sembra dire: “Non restate qui, questo non è un posto per umani”. Mi dispiace andarmene, perché già m’immaginavo che in questo cielo scuro arrivasse improvvisa la luce dell’aurora boreale, ma ha ragione il vento, qui non si può restare.

La strada scende verso Skarsvåg, da qui si vedono le luci del paese e questo ci conforta, di sicuro troveremo un posto dove fermarci e passare la notte tranquilli.

Il fiordo ci ripara dal vento e anche la temperatura sembra più mite anche se il termometro è abbondantemente sotto zero, parcheggiamo in un piccolo spiazzo ricavato tra la neve: “Qui dovremmo stare bene e non credo che il generatore possa infastidire qualcuno”, dico, ma scendendo dal furgone vedo tra la neve una porta da dove esce un po’ di luce, decido allora di chiedere se così parcheggiati arrechiamo disturbo. Salgo la ripida e gelata scala e spingendo la maniglia mi compare davanti agli occhi un luogo caldo, illuminato dai profumi di vaniglia e cannella, addobbato come fosse Natale. Chiamo Rossana che sgrana gli occhi nel vedere che un’intera stanza è dedicata agli addobbi natalizi fatti a mano, mentre nell’altra, sulla credenza, ci sono il caffè, la cioccolata calda e il tè, poi torte e pasticcini e ci si può servire a piacimento. Tutti gli abitanti del piccolo paese sono qui, seduti su tavoli di legno imbanditi con tovaglie rosse ricamate e un grande lampadario di cristallo illumina la stanza, anche le piccole finestre sono decorate con stelle e luci.  “È la casa di babbo Natale” sussurro, servendomi cioccolata calda e una fetta di torta alla panna.

Mentre Rossana acquista ornamenti per il prossimo albero di Natale, io chiedo a una graziosa ragazza se possiamo sostare nel piazzale qui fuori per la notte, mi risponde di sì, ma aggiunge che c’è di meglio e chiama il padre per farsi dare le chiavi del loro hytte dicendo: “È  dall’altra parte del fiordo, su un promontorio vicino al mare, da dove si può vedere lontano verso nord e ovest e questa notte ci sarà l’aurora boreale”, Il prezzo è accettabile, accettiamo e ci facciamo accompagnare.

Attraversiamo uno ponte senza barriere che attraversa il punto più stretto del fiordo, poi affrontiamo una ripida e ghiacciata salita e proprio alla fine della strada c’è la nostra piccola casa nera con le finestre bianche.

Mentre scarichiamo i bagagli: “Look, Look !”  Esclama la nostra guida e dal cielo nero come la pece, scende, come farebbe una vernice versata nell’acqua, la luce verde dell’aurora boreale; si muove lentamente, cambia forma, ora è come un fiume, poi come un velo copre le stelle.

Abbandono i bagagli, scivolo sul ghiaccio con in mano la macchina fotografica e la cinepresa e come un equilibrista resto in piedi, provo a posizionare la macchina fotografica sul cavalletto e a regolare i tempi di scatto, ma non ci riesco, è buio, non vedo nulla e le mani mi si gelano, anche la cinepresa non riesce a cogliere la meraviglia del momento, pure il vento mi ostacola, poi oscillo e scivolo rendendomi conto che sono in equilibrio instabile su un mucchio di neve gelata, tento l’ultima risorsa, il telefono cellulare, e finalmente riesco a fissare questa luce magica tra i ricordi di NordKap.

7 marzo 2022

LA BUFERA

È da poco salito il sole, mi affaccio al balcone, il cielo è limpido e s’è alzato il vento, i gabbani di già volano alla ricerca del pesce tra mare e ghiaccio, Consulto il meteo che annuncia abbondanti nevicate per domani. Mi piacerebbe restare qui per tornare alla casa di Babbo Natale e poi aspettare altre aurore boreali, ma viste le previsioni meteorologiche ritengo più prudente partire verso la Lapponia e raggiungere Inari in Finlandia, dove forse potremo rivedere le luci delle notti del nord. I bagagli sono sistemati, con un colpo d’acceleratore e un po’ di freno a mano giro il furgone in questa stretta via, poi affronto la ripida salita e la discesa verso il ponticello senza protezione. Cominciamo a salire verso il pianoro e il clima cambia, sulla strada gelata la neve corre veloce trasportata da un forte vento, per poi ammucchiarsi in precisi punti diventati pericolosi ostacoli per il furgone. Davanti a noi c’è un altro camper che, nonostante abbia già montato le catene, non riesce a proseguire, cerco di dargli una mano spalando via la neve mentre il gelo s’attacca ai mie vestiti e penetra in ogni piccola zona scoperta, poi il camper riesce a muoversi, ma dopo pochi metri le ruote slittano e si ferma, allora l’autista mi fa cenno di lasciar perdere: “Noi ci fermiamo qui, aspettiamo che la bufera passi”.

Il nostro Volkswagen riesce a superare i cumuli di neve, ora il fiordo non ci ripara più, siamo sull’altopiano e il vento raggiunge raffiche da cento all’ora, la strada è sparita, la neve è così fitta da non farti capire la direzione, è tutto bianco, è tutto uguale a destra, a sinistra, anche il cielo è bianco come la terra e a malapena riesco a vedere i pali rossi che segnano quella che ormai non si può più definire una strada.

Avanzo lentamente fin quando una raffica di vento fa sbandare il furgone e un rumore: “Funp fop”, mi avvisa che abbiamo fatto un tuffo in un cumulo di neve, poi le ruote slittano e non ci muoviamo. Le gomme da neve non bastano più, devo montare le catene. Esco dal furgone e, mentre il vento mi porta via, cado e scivolo sul ghiaccio tenendo in mano le catene e il martinetto; mi rialzo, ma non riesco a stare in piedi, allora a quattro zampe, mi avvicino al furgone e capisco che stando disteso i vestiti s’attaccano al ghiaccio della strada, così il vento non riesce a spostarmi.

Inizia il lavoro, ma le mani si gelano e i piccoli ganci delle catene si riempiono di solida neve, Rossana prova a spingere per muovere il furgone cercando di agevolare l'operazione con la calma necessaria a superare le difficoltà, poi, vedendo il mio viso congestionato e la barba racchiusa in un blocco di ghiaccio, m'invita a rientrare al caldo nel furgone. Accetto volentieri, ma il lavoro non è terminato, così dopo un caffè, aspetto che il ghiaccio della barba si sia sciolto e ritento il montaggio delle indocili catene.  Avvolto nella bufera vedo dei grandi fari luminosi; poi una sagoma scura che occupa tutto quel che resta della strada si ferma di fronte al furgone, e dalla grande macchina spazzaneve scende un uomo. È alto, robusto, con una lunga barba bionda ed è ben protetto da una tuta di tipo polare, mi si avvicina e allora, credendo di essere d’intralcio, cerco di scusarmi, ma le parole sono portate via dal vento, così non riuscendo a sentire, m’immagino che l’omone mi rimproveri: “Poteva pensarci prima a montare le catene, non qui sulla strada, mentre infuria la bufera”, invece sorride e con dei cenni mi fa capire che ci pensa lui. È un sollievo, ogni preoccupazione sparisce e con fatica e tenacia riusciamo finalmente a montare queste catene. Finito il lavoro, con un deciso scatto le ruote artigliano il ghiaccio sfondando il mucchio di neve che ci teneva prigionieri, ora siamo pronti a ripartire, ma prima stringo la mano al vichingo e per sdebitarmi gli offro una bottiglia di vino e un compenso.

Riprendiamo il viaggio aguzzando la vista nel bianco della bufera, mentre il furgone avanza sicuro e forte delle sue catene, che masticano neve e ghiaccio. Pochi chilometri dopo riappaiono le luci lampeggianti e la strada è nuovamente bloccata, questa volta sono finiti fuori strada i due fotografi olandesi e la loro auto è immersa nella neve fino ai finestrini. I soccorritori ci spiegano che questa strada è stata chiusa al traffico, ma la sbarra che impedisce l’accesso è nell’altro senso, all’entrata della galleria, mentre, per chi scendeva da Capo Nord non hanno fatto in tempo a chiudere, così sulla strada siamo rimasti solo noi, il camper che si è fermato a Skarsvåg e i fotografi olandesi.

La tormenta ci segue e per un centinaio di chilometri avanziamo lentamente scrutando la strada mentre la neve fresca attutisce ogni rumore, ma poi, all'improvviso, nelle gallerie, lo sferragliare delle catene sull’asfalto fa l’effetto dell’avanzare di un carro armato.

Seguendo il fiordo raggiungiamo Lakselv e nel cielo appare una striscia d’azzurro, ora non nevica più. Abbiamo raggiunto la Lapponia Norvegese e a Karasjok facciamo una sosta in un mercato Sami dove si vendono maglioni fatti a mano in lana di pecora villsau.

Siamo partiti da Skarsvåg alle sette del mattino e mancano ancora un centinaio di chilometri per raggiungere Inari in Finlandia. Per arrivare fino qui a Karasjok abbiamo percorso duecento-sessantacinque chilometri in otto ore, tra turbinii di neve, ghiaccio e venti polari.

Attraversiamo il confine tra Norvegia e Finlandia, mentre Il sole illumina la strada bianca di neve che dritta, con lunghi saliscendi attraversa estesi boschi di betulle.

 In meno di un’ora arriveremo a Inari. 

INARI

Il sole sta tramontando mentre parcheggiamo il furgone di fronte all’omonimo lago nascosto sotto una solida distesa di ghiaccio.

L’aria è tersa e fredda e gli ultimi raggi di sole colorano di rosso la grande distesa gelata. Prima di prendere una decisone per pernottare ci avviamo a passeggiare sul lago per vedere l’ultimo raggio di luce sparire tra i boschi di betulle.

Continuiamo a camminare fin quando le case di Inari non si vedono più e un cartello stradale piantato sul ghiaccio indica alle motoslitte la direzione per raggiungere le città che sorgono nei pressi, la più lontana è Nourgam, che dista cento-settantasei chilometri da dove ci troviamo.

Non è ancora buio, ma affrettiamo il passo perché il freddo si fa più pungente mentre le luci del paese s’accendono indicandoci la strada del ritorno.

Risaliamo la riva del lago e ci troviamo davanti al nostro camper, che avevamo collegato alla presa elettrica; proprio così, perché qui in Finlandia i parcheggi pubblici sono forniti di elettricità per riscaldare le auto ed impedire il congelamento dei liquidi. Potremmo fermarci a dormire qui nel tepore del nostro furgone accontentandoci di una cena frugale, ma entusiasti di quest’atmosfera natalizia che impregna il paese, entriamo nell’Hotel Inari e prenotiamo una stanza con vista sul lago per due notti e per domani mattina una gita con la slitta trainata dalle renne tra i boschi di betulle, mentre per la notte una lunga e gelida esplorazione in motoslitta a caccia dell’aurora boreale. Ormai la bufera è un ricordo, da poter raccontare ridendo al caldo delle coperte davanti alla vetrata. Osservando le stelle aspettiamo l’apparire dell’aurora boreale, ma il sonno ci sorprende.

 8 marzo 2022,

“Andrea, guarda, questa mattina fa talmente freddo, che si è gelato anche il gas dell’accendino”.

Sono le otto del mattino e stiamo girovagando nei dintorni di Inari in attesa del giro con la slitta trainata dalle renne.

Il termometro segna meno venti, la neve scricchiola sotto gli scarponi e i rami degli alberi si piegano sotto il peso della neve. Qui è tutto bianco e brilla ai primi raggi del sole, mentre l’aria gelata mi arrossa il naso e le guance, ma, camminando in questo bosco, ho l’impressione che non faccia così tanto freddo e non credo che a proteggermi siano solo i pesanti vestiti che porto, ho la sensazione che gli alberi e la neve mi diano riparo.

Un rumore, uno scricchiolio e il tonfo della neve che cade dai rami, mi volto, e tra gli alberi vedo un alce, che immobile osserva il nostro passeggiare, poi si volta e se ne va.

 

Le renne e la slitta

 

È l’ora dell’appuntamento con le guide Sami, che ci accompagneranno con le slitte lapponi a scoprire gli antichi sentieri percorsi durante la migrazione delle renne.

Kea è il nome della nostra renna dagli occhi scuri, languidi e dalle grandi corna così contorte da sembrare a rami coperti di muschio, se ne sta distesa sulla neve ad aspettare il suo turno ruminando un pugno di licheni, è tutto ciò che gli serve per avere l’energia sufficiente a trainare la pesante slitta su cui Rossana ed io ci accomoderemo protetti da pesanti coperte.

Kea si alza e senza girare la testa mi guarda, allora mi avvicino, mi lascio annusare e gli offro dei licheni, che mangia strusciando il muso sulle mie mani come per rassicurarmi della sua amicizia.

Il “Poronkapellimestari”, così credo che si chiami il conduttore di renne in finlandese prende le redini della capofila e inizia la marcia della carovana scivolando sull’antico sentiero.

Come Babbo Natale e la sua compagna stiamo distesi e ben imbacuccati sulla slitta, mentre Kea con passo sicuro s’inoltra nel bosco trainandoci tra sentieri e cumuli di neve che ci fanno rimbalzare un po’ di qua e un po’ di là.

Il cammino si protrae per più di tre ore, con qualche sosta per osservare le impronte delle volpi artiche e delle linci . Al rientro, prima di rifugiarci nella *Kota, dove ci aspetta un fuoco e del tè caldo ai frutti di bosco, liberiamo dai finimenti le renne e ci soffermiamo a sfamarle offrendogli licheni a piene mani.

Al riparo delle Kota, seduti in cerchio attorno al fuoco con la tazza di tè tra le mani, ascoltiamo la storia del popolo Sami, dell’allevamento di renne e della transumanza, così il sole comincia a scendere e i colori del tramonto, filtrando tra i rami degli alberi spogli, trasformano il bosco.

 

*Kota= tenda tipica del popolo Sami

 

La notte in motoslitta

 

È ancora presto, mancano due ore per l’avventura notturna in motoslitta, così, dopo una breve sosta in albergo, passeggiamo per Inari mentre cominciano a scendere sottili fiocchi di neve.

Dieci minuti prima dell’appuntamento siamo difronte al noleggio motoslitte, dove il capo gruppo ci invita a vestirci con tute polari, guanti, stivali imbottiti e cappello siberiano. Il vento ha spazzato le nuvole, e il cielo è limpido e il termometro segna meno venticinque.

Prima della partenza, una breve spiegazione sui comandi della motoslitta, che sono diversi da quelli di una motocicletta e più simili a quelli di un tagliaerba, in sostanza c’è solo una levetta per accelerare, rallentare e fermarsi, per il resto basta tener ben saldo il manubrio.

I motori s’accendono e i fari illuminano il lago gelato, si parte, il cingolo spinge alzando una cascata di neve, mentre i pattini seguono le scie delle altre motoslitte, poi la neve fresca, ed è come un tuffo in una nuvola, tutto diventa più silenzioso e soffice. Filiamo sempre più veloci, seguendo in ordine sparso il nostro capo gruppo, che ci conduce lungo invisibili sentieri.

Dopo un’ora di guida il gruppo si ferma in quella che d’estate è un’isola, mentre questa notte è un bosco nel mezzo di una distesa di ghiaccio e neve. Lasciamo le motoslitte e c’incamminiamo verso una kota, dove brilla un fuoco e sulla griglia cuoce della carne.

È solo una tenda, ma il tepore e l’odore della griglia ci fa sentire ospiti della migliore trattoria della zona, la nostra cena è un panino imbottito con hamburger di renna e licheni, accompagnato dal tè bollente.

“Tule ja näe tule ja näe!”, eslama la nostra guida; ci guardiamo l’un l’altro senza capire, allora ripete in inglese “Come and see”, così tutti escono per vedere cosa ci sia di tanto interessante.Nel buio della notte, tra le stelle e i rami degli abeti, compare la luce verde del nord, allora ecco macchine fotografiche, cavalletti e cineprese pronte ad immortalare la meraviglia dell’aurora boreale; ma io lo so che non è cosa facile da fare. È il momento di proseguire il viaggio sul lago ghiacciato e con l’aurora boreale è uno spettacolo indescrivibile. Le motoslitte filano veloci alzando spruzzi di neve illuminati dai fari, ormai siamo sull’altra sponda e un’altra sosta è necessaria, perché riappare la luce del nord ed illumina tutto il cielo.Ormai ho perso il senso del tempo ed anche l’orientamento, continuerei a viaggiare fino alla fine della notte navigando sulla neve alla ricerca della fonte della luce del nord.È quasi mezzanotte quando rientriamo a Inari per restituire le motoslitte, è un incanto che s’interrompe, fa freddo e la notte è nuovamente padrona del cielo.        

9 marzo 2022

 

La nostra meta è Rovaniemi, la capitale della Lapponia, dove finisce il circolo polare artico.

Scendiamo verso sud lungo strade di ghiaccio, che attraversano infiniti boschi incastonati nel gelo della galaverna, poi improvvisamente e senza motivo, il motore del Volkswagen si spegne; non freno, lascio che continui la sua corsa lungo la discesa, per poi rallentare fino a fermarsi, e il silenzio ci avvolge.

Provo a trafficare con le candele, lo spinterogeno e altri misteri di questo motore, ma il furgone ha deciso di fermarsi qui, in fondo il posto non è male, ormai siamo rassegnati ad aspettare.

È bastata una sosta di mezz’ora, poi al primo giro di chiave il motore riparte e senza soste ci porta fino al villaggio di Babbo Natale all’entrata di Rovaniemi.

C’ero già stato in una estate di molti anni fa e avevo trovato una semplice casetta in legno con appese alle pareti miglia di letterine inviate a Babbo Natale da tutti i bambini del mondo, cercando forse avrei potuto trovare anche quella che inviai da bambino. Allora era un luogo dei sogni e dei ricordi, ma oggi Babbo Natale ha investito nel business dei megastore, così abbiamo ritrovato una città commerciale, servita da alberghi, appartamenti per turisti, ristoranti e negozi con migliaia di gadget made in Cina, ma per fortuna la stanza con le lettere è ancora lì, un po’impolverata e oscurata dallo sfavillante luccichio di un’eterna festa di Natale in vendita.

È bastata una breve visita per decidere di andare a cercare un posto più tranquillo per passare la notte.

 

10 marzo 2022

 

Oggi ci spostiamo verso sud ovest e avvicinandoci alla Russia,  attraverseremo su strette strade innevate, in pacifica solitudine, i boschi finlandesi, costeggiando i laghi ghiacciati.

Verso sera seguiamo le indicazioni di campeggi che immancabilmente sono chiusi, ma ciò non ci impedisce di fare una sosta per passeggiare sul lago seguendo le tracce nella neve, per poi fermarci ad osservare un pescatore che pazientemente, dopo aver preparato il foro nel ghiaccio, se ne sta seduto su una sedia aspettando che un pesce persico abbocchi all’amo.

Non sono ancora le quattro del pomeriggio quando arriviamo nell’unico campeggio aperto a Hiilimutka, mentre il sole tramonta e lo spettacolo dei colori che mutano dall’arancio al viola, dal rosa al rosso, non mi dà il tempo di parcheggiare e ascoltare la proprietaria, così mi precipito verso il sole affondando i passi nella neve.  

Per un’ora seguo il lento percorso del sole verso la notte, poi appagato dalla strabiliante pittura di luce, mi dedico alla preparazione del camper per la notte.

Rintanati al caldo del nostro furgone, preparando la cena ascoltiamo le terribili notizie dei bombardamenti che l’esercito russo continua ad infliggere al popolo ucraino. Da qui alla Carelia russa ci sono circa due ore di viaggio e in questo campeggio ci sono dei Russi che non hanno nessuna intenzione di rientrare in patria, perché temono di essere reclutati per dover intervenire in una guerra di cui non vogliono sapere.

11 marzo 2022

    

Che cosa c’è di meglio che perdersi tra strade di neve e boschi gelati dando la precedenza ad un alce che attraversa lentamente. Una sosta e poi ancora viaggiamo verso sud senza una precisa meta, scrutando nel folto delle betulle il prudente muoversi di una volpe artica.

Anche oggi abbiamo percorso quasi trecento chilometri e verso sera ci troviamo nella cittadina di Jyväskylä. Questo è l’ultimo giorno in Finlandia e vogliamo terminare il nostro viaggio immersi nella natura, lontani da luoghi abitati, per cui ci dirigiamo a caso verso il lago proseguendo fin quando la strada finisce in una località chiamata Juurikantie, una punta di terra che s’inoltra nel lago Hauhonselkä.

Parcheggiamo a fianco d’un ristorante e andiamo a passeggiare sulla distesa di ghiaccio. Ci sono diversi sentieri battuti, uno porta ad un piccolo villaggio sull’altra sponda, mentre l’altro arriva fino ad un’isola coperta da un bosco, dove un gruppo di ragazzi sta cuocendo una grigliata tra fuoco e neve. Il sole lentamente cala e mentre per i Finlandesi è una normale giornata d’inverno, noi restiamo sbalorditi, nel mezzo di questa distesa d’acqua gelata, ad osservare i colori del tramonto riflessi dalla neve.          

Quando rientriamo dalla passeggiata chiediamo al proprietario del locale se possiamo restare qui per la notte, ci risponde che va bene e ci fa vedere dove possiamo collegarci alla corrente elettrica ed anche dove sono i bagni, poi dice che siamo stati fortunati perché il locale chiude e questa sera c’è una festa.

Appena arriva il buio un gruppo rock prepara i suoi strumenti sotto il portico e nonostante la temperatura stia scendendo a vista d’occhio, la musica inizia; allora gli invitati, vestiti da sera e con le scarpe lucide, escono a ballare e incuranti del ghiaccio, saltano e volteggiano brindando con i bicchieri in mano.

All’interno del locale vengono serviti ricchi hamburgher di renna con verdure, patate fritte e birra. Noi siamo gli unici turisti, mentre tra gli invitati ci sono famiglie con bambini, anziani ed anche personaggi dall’aspetto di rock stars, che indossano giacche a lustrini, grandi cappelli colorati e stivaletti a punta. Tra una birra e l’altra ci soffermiamo a chiacchierare con la moglie del proprietario, inizialmente ci chiede se abbiamo trovato tutto quello che ci serviva e ci avvisa che per domani mattina ci lascerà i bagni aperti e riscaldati, poi qualche parola sulla vicinanza della Russia e la chiacchierata scivola verso la guerra in corso e la diffidenza che il popolo finlandese nutre verso Putin, per le sue idee espansionistiche.

Il termometro segna meno quindici e i musicisti non hanno ancora le mani congelate, per cui continuano a suonare, usciamo anche noi ad inventarci balli adatti a scivolare sul ghiaccio, mentre tra i boschi di betulle e i grandi spazi del lago risuona un rock finlandese, mi guardo attorno e tra luci, musica e gelo, anche se nessuno lo sa, questa festa è per noi e per il nostro viaggio.

Alle nove e trenta la musica finisce e tutti rientrano, noi ci infiliamo nel furgone, tiriamo le tende e ci rimbocchiamo i piumoni: “Buona notte”. 

12 marzo 2022

 

Il sole filtra attraverso le tende, Rossana s’è già alzata e sta percorrendo il sentiero del lago per fotografare l’alba là dove ieri ammiravamo il tramonto.

Non c’è più nessuno, regna il silenzio, dopo una doccia calda e una abbondante colazione siamo nuovamente in viaggio verso Turku.

Il navigatore ci dice che percorreremo circa trecento chilometri in tre ore e mezza e non si sbagliava perché alle undici del mattino siamo a destinazione in porto, ma gli uffici delle compagnie di navigazione sono chiusi e riapriranno alle diciassette e trenta, mentre la prima nave per Stoccolma partirà alle nove di sera e arriverà a Värtahamnen alle sette e trenta del mattino, così scopriamo di avere molto tempo per gironzolare. Parcheggiamo il furgone in uno spazio angusto davanti alla cattedrale di San Michele, ma quasi subito si libera un altro posto più comodo, allora giro la chiave e, niente, non va in moto, vuole restare lì dove è.  Questo strano difetto comincia a diventare fastidioso, non sappiamo quando il furgone deciderà di rimettersi in moto, forse dopo un breve riposo, ma potrebbe anche essere la volta che il guasto diventa definitivo, non possiamo farci niente, se non aspettare.

Passeggiamo per la città, poi ci sediamo in un bar e scopriamo che qui non si fa servizio al tavolo, bisogna mettersi in coda per ordinare, poi aspettare davanti al banco ed infine portarsi quanto ordinato al tavolo, sempre che il posto sia ancora libero; però all’aperto si può stare seduti tutto il giorno e anche utilizzare la presa di corrente senza consumare.

È da più di tre ore che giriamo il centro, per cui decidiamo di tornare al camper e questa volta va in moto al primo giro di chiave.

Usciamo dalla città per una quindicina di chilometri dirigendoci verso Kuuva un lembo di terra, circondato da miglia di isolette che s’inoltrano nel mar Baltico, una volta arrivati scopriamo di aver raggiunto un campo di golf assolutamente impraticabile, perché il disgelo lo sta sommergendo.

Torniamo in città alle cinque di sera, ceniamo con una bistecca e una birra in un pub molto frequentato, poi torniamo al porto.

La nave è già ormeggiata, ma gli uffici sono da tutt’altra parte; speriamo che il furgone non faccia altre stranezze, e questo stato d’incertezza ci perseguita ormai da Capo Nord. Rifacciamo il giro del quartiere e troviamo gli uffici della compagnia navale, la biglietteria è aperta, mostro i passaporti e i documenti del furgone e prenoto una cabina per due, ma quando vedo il prezzo penso di aver sbagliato qualcosa, però non è così, tutto quello che volevo è scritto su tre biglietti per un totale di settantacinque euro e una navigazione di circa dieci ore

Alla biglietteria mi hanno dato una piantina per raggiungere il punto d’imbarco, che è da tutt’altra parte del porto, così dobbiamo rifare il giro della zona del porto e metterci nella corsia dedicata ai furgoni, le operazioni d’imbarco proseguono fino alle otto e trenta della sera, poi la nave lascia gli ormeggi e inizia la lunga traversata notturna.

Il ritorno: 13 -14 -15 -16 marzo 2022

 

Prima delle sette del mattino la nave entra nel porto di Stoccolma rompendo quel po’ di ghiaccio formatosi durante la notte nel mare.

È ancora presto, così prima di proseguire il viaggio facciamo un giro della città, ma quando il traffico aumenta decidiamo di proseguire abbandonando la Svezia attraverso il grande ponte di Malmö che porta direttamente a Copenaghen.

Anche se attraverseremo città che potrebbero essere le mete di un altro viaggio, il nostro sembra finito all’alba del dodici marzo a Juurikantie.

Raggiungiamo Copenaghen che è notte e dopo l’inutile ricerca di un campeggio aperto, decidiamo di fermarci in un parcheggio qualsiasi della città per cenare e quasi subito ci mettiamo a dormire.

Alle cinque del mattino siamo in piedi e possiamo ammirare Copenaghen ancora silenziosa e deserta, poi ci dirigiamo verso l’ingresso del porto per vedere la statua della sirenetta e quindi riprendere il nostro viaggio verso Amburgo dove vorremo arrivare presto e pernottare in un hotel.

Da quando siamo entrati in Germania una sottile pioggia ci segue e continua anche quando arrivati ad Amburgo ci fermiamo difronte ad un hotel.

Prima d’entrare bisogna indossare la mascherina anti COVID, nei paesi scandinavi avevo ormai dimenticato questo salutare rito, ma non basta, prima di darci le chiavi della stanza e poter parcheggiare il furgone al coperto, vogliono controllare i documenti d’identità e il green pass e finalmente quando ogni lasciapassare è considerato valido, la solerte signorina alla reception ci chiede il pagamento anticipato della stanza, che è comoda e pulita ed anche con vista sulla città.

Dopo aver sfruttato tutte le comodità della camera, andiamo a passeggiare sotto questa pioggerella, che rende tristi i grandi palazzi grigi del centro, mentre le luci dei negozi si riflettono sul selciato bagnato ravvivando la via.

Il negozio della Lego è così grande e colorato che non possiamo far a meno di entrare. Ci sono milioni di mattoncini di plastica colorata che formano velieri, auto da corsa, aerei e qualsiasi altra cosa che la fantasia possa costruire. Anche noi compriamo una scatola di montaggio con dentro i pezzi per costruire un vecchio camper Volkswaghen e i suoi due passeggeri, sarà il regalo da fare alla nipotina. Poi entriamo in un negozio che vende borse e scarpe italiane e scopriamo che tutto ciò che vendono costa meno che in Italia.

Abbiamo percorso tutta la via pedonale ed è ora di fermarci a cena in un locale con i tavoli all’aperto ben riparati da grandi ombrelloni e riscaldati da stufe a fuoco vivace e se non bastasse ci sono anche le coperte. La cameriera arriva subito e gentilmente ci porge il menu, per quanto riguarda la birra ci capiamo subito, ma sui piatti ognuno dice la sua, allora decidiamo di ordinare due bistecche al sangue, che sembrano comparire tra le immagini del menu:

 “I’d like two rare steaks” così chiedo alla cameriera che prende nota e sembra capire, poi invece di due bistecche al sangue arrivano due piatti di sfilacci di carne stracotti e verdure miste coperte di salsa, . Pazienza, avrò pronunciato male, comunque la birra è ottima.

La mattina del giorno seguente ancora piove e il nostro viaggio ora non ha più mete, imbocchiamo l’autostrada tedesca e continuiamo la nostra corsa verso sud in modo da arrivare a casa in un paio di giorni, fermandoci a dormire nelle stazioni di servizio e la pioggia continua a scendere.

 

17 marzo 2022

 

Arriviamo a casa nel primo pomeriggio, mentre si scatena un temporale, parcheggio per bene il furgone, poi scarichiamo migliaia di cose vecchie e nuove e arrivata sera decidiamo d’andare a cena in trattoria, ma quando giro la chiave del Volkswaghen il motore non vuol saperne d’andare in moto e così resterà, immobile per giorni e giorni senza dar segni di vita.

 


ANDREA E ROSSANA